Mar Mediterraneo (medi-terrae – in mezzo alle terre), culla della civiltà. Le acque abbracciano il Salento ad Est con il Mar Adriatico ed a Ovest con il Mar Ionio.
Un tempo la terra circondava il mare, le pietre ce lo raccontano. Questa regione è fatta di mare. Fino al Pleistocene è un continuo alternarsi di terre emerse e mare. Quando le acque riconquistano le zone pianeggianti tra le Serre, modeste alture del paesaggio che corrono da Nord-Ovest a Sud-Est, si depositano sedimenti palustri e salmastri.
Durante una di queste fasi di sommersione del territorio (circa 24 milioni di anni) si forma la pietra leccese. Il materiale edilizio utilizzato dai maestri scalpellini dell'epoca barocca (1600) è fatto di "mare". Affiorano dalla pietra leccese conchiglie e fossili animali (grandi squali, delfini, balene e rettili marini).
Nel corso della realizzazione della tangenziale di Lecce è stato rinvenuto un banco di pietra con un fossile di balena, tutt'ora allo studio dell'Università del capoluogo. Si suppone che dove oggi sono concentrati i comuni salentini (entroterra della penisola), milioni di anni fa era luogo di riproduzione di balene preistoriche.
La conformazione del nostro territorio mette in scena una continua lotta tra terra ed acqua. Le acque piovane vanno a perdersi in inghiottitoi carsici seguendo poi percorsi sotterranei. A volte questi fiumi ipogei si ritraggono e lasciano grotte e percorsi liberi dove un tempo scorreva acqua.
Il carsismo di superficie ha creato, durante l'ultima glaciazione (120.000 anni fa), le Vore. Si tratta di fratture verticali di forma circolare, presenti nei banchi di pietra leccese.
Possono raggiungere i 20 metri di profondità e solitamente presentano un diametro di 5 metri circa. Spesso fungevano da trappole mortali per gli animali che popolavano il Salento.
Sul fondo delle vore sono stati rinvenuti resti di Bos primigenius (bovide), Cervus elaphus, Equus hydruntinus (specie autoctona di cavallo), mammut, orso delle caverne, elefanti, ippopotami e iene. L'uomo di Neandertal, che popolava il Salento all'epoca, scendeva in queste cavità, per rifornirsi di cibo dalle carcasse dei malcapitati animali.
Sono state rinvenute tracce di taglio netto ed incisioni da strumenti litici sulle ossa oggi conservate presso il Museo di Maglie.
"Son delle voraggini o meglio delle spaccature le quali attraversano il banco dei sabbioni e quello delle argille sottoposte e giungono sino al calcare compatto sottostante fratturato in tutti i sensi. Quando avvengono dei forti acquazzoni ogni voraggine inghiotte in brev'ora un enorme volume di acqua; e questa vi si precipita gorgoliando, con un movimento vorticoso. Queste voraggini sono dette dal volgo àvisi o aisi ed in altri paesi in Terra d'Otranto vore o semplicemente ore e nel leccese capoventi - o ventarole, jentarole (ndr)" (Cosimo De Giorgi 1882).
Verso il termine dell'ultima grande glaciazione le Vore furono coperte da depositi trasportati dalle acque piovane e così sono rimaste sigillate per millenni, con il loro prezioso carico di reperti archoeologici. Queste sono state riaperte durante le fasi di estrazione della pietra leccese. Isole di un tempo lontanissimo che giungono a noi intatte dopo un viaggio di circa 100.000 anni.
patrizia
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